Rifiuti, Ecoplasteam: senza End of waste andremo all’estero

Rifiuti, Ecoplasteam: senza End of waste andremo all’estero

Intervista al presidente Carlo Maggi: i ritardi nella normativa bloccano investimenti già pronti. Servono norme transitorie che diano poteri a Regioni e Province nelle more dei decreti ministeriali.

È da circa un anno che è scoppiata l’emergenza dei decreti End of waste, eppure è ancora tutto fermo. Perché questo tema è diventato centrale per il settore del riciclo italiano? Quali sono le ricadute sulla vita economica delle imprese? Per rispondere a queste domande abbiamo parlato con Carlo Maggi, presidente di Ecoplasteam. La start-up, con uno stabilimento a Spinetta Marengo (Alessandria), ha sviluppato e brevettato una tecnologia per trattare il polietilene e l’alluminio contenuti nel tetrapak, trasformandoli in una nuova plastica completamente riciclabile: l’EcoAllene. Si tratta di un’eccellenza, tutta italiana, che non riesce ad espandersi nel nostro Paese proprio per la mancanza dei decreti End of waste, ossia la disciplina che definisce il processo di trattamento dei rifiuti affinché non siano considerati più tali e possano essere reimmessi nel ciclo produttivo.

A febbraio 2018, infatti, una sentenza del Consiglio di Stato ha sottratto alle Regioni e Province il potere di autorizzare le operazioni di recupero per la cessazione della qualifica di rifiuto, riservando tale competenza esclusivamente al Ministero dell’Ambiente. Da quel momento, tuttavia, il Ministero non ha emanato nessun decreto.

Sul tema si è anche aperto uno scontro interno alla maggioranza, tra chi (Lega) vorrebbe affidare i poteri autorizzatori alle Regioni, in attesa della disciplina ministeriale, e chi (M5S) ritiene che la regolamentazione della cessazione della qualifica di rifiuto debba spettare esclusivamente allo Stato (v. Staffetta 15/01). Il confronto tra le due forze politiche ha, però, portato ad un nulla di fatto e a farne le spese sono state le aziende del riciclo (v. Staffetta 21/01). Per questo il presidente di Ecoplasteam ha denunciato: se andremo avanti così saremo costretti a spostarci all’estero.

Come si sviluppa la vostra produzione? Quali sono le novità dal punto di vista del riciclo?

Noi completiamo la filiera del riciclo del tetrapak che parte dalle cartiere, dove viene tolta la componente cellulosa e rimane un pulper particolare, composto di plastica e alluminio. Noi riceviamo questo composto e lo trasformiamo in una nuova materia plastica che è completamente riciclata: l’EcoAllene. Fino ad oggi il riciclo dei cartoni da bevande si fermava alla cellulosa, mentre tutto il resto doveva andare in incenerimento. L’alternativa era mandarlo in Cina o India. Poi, nel 2018, c’è stato il China ban, quindi l’unica soluzione sarebbe l’incenerimento. In genere il pu/per di cartiera è un materiale difficile da recuperare. Noi abbiamo fatto un accordo con due grosse cartiere in Italia che ci fanno avere il loro scarto di polietilene e alluminio derivante dal pu/per. Sono le uniche due aziende che lavorano questo materiale in modo tale da trasformarlo in un sottoprodotto. Siamo quindi alla fine di una filiera che inizia in cartiera e che fino ad ora aveva un solo sbocco: le cartiere spendevano 200 euro a tonnellata per bruciare questo composto. Oggi lo vendono a noi.

Rispetto alla vostra attività, quali sono gli impatti della disciplina sull’End of waste?

Sta completamente bloccando questo tipo di riciclo. Noi dobbiamo comprare lo scarto di queste due cartiere come se fosse un prodotto. È un ciclo chiuso, dove noi dobbiamo pagare invece di essere pagati, che si limita a 6 mila tonnellate. In Italia e in Europa, però, ci sono 300 mila tonnellate di polietilene/alluminio che non sono classificate come sottoprodotti ma come rifiuti. Noi non li possiamo trattare proprio perché manca una regolamentazione sull’End of waste. Per questo vuoto normativo siamo costretti ad andare ad aprire dei nuovi impianti all’estero. Avremmo anche degli investitori che metterebbero dei soldi per costruire altre cinque linee produttive in Italia, ma dovremmo realizzarle in altri paesi dove le norme sull’End of Waste funzionano.

Ad esempio?

In Austria siamo molto avanti nella ricerca di una location, ci hanno garantito di avere un’autorizzazione in 96 giorni. Stessa cosa in Slovacchia dove ci hanno detto di attendere massimo quattro mesi. Anche ad Alessandria, in realtà, le autorizzazioni sono arrivate in 90 giorni, con la differenza che la Provincia non ci ha dato il permesso di riciclare i rifiuti dopo la sentenza del Consiglio di Stato sull’End of waste.

Sulla questione dell’End of waste, all’interno della maggioranza si registrano posizioni opposte tra chi vuole lasciare margine di manovra alle Regioni e chi vuole accentrare i poteri autorizzativi in capo al Ministero dell’Ambiente. Quale è la sua idea al riguardo?

Abbiamo interloquito a lungo con la componente dei Cinque stelle su questo tema. Loro hanno una teoria molto statalista, ossia il potere di determinare quando un rifiuto cessa di essere tale deve essere in capo al Ministero dell’Ambiente e non può essere delegato alle Regioni o Provincie, dove si annida il malaffare. A questa visione statalista noi opponiamo il mondo dell’imprenditoria. Per fare un decreto caso per caso sul pu/per di cartiera, al quale il Ministero dell’Ambiente sta già lavorando, ci vorranno ancora due anni.

Così tanto tempo?

Sì, perché ci vorrà almeno un anno per finire tutte le verifiche interne. Poi il decreto deve andare in Europa e tornare in Italia per essere approvato dalla Corte dei Conti, Consiglio di Stato e Presidenza del Consiglio. Il decreto sul riciclo dei pannolini, ad esempio, non ha ancora concluso l’iter Come era stato previsto nelle ultime proposte, bisognerebbe quindi stabilire che, nelle more dell’emanazione dei decreti nazionali, le Regioni e le Province possano autorizzare le imprese a lavorare, con degli obblighi: primo, notificare al Ministero l’autorizzazione; secondo, inserirla nell’anagrafe nazionale delle autorizzazioni rilasciate dalle Regioni; terzo, nel momento in cui verrà firmato il decreto nazionale l’azienda dovrà vedere se la sua autorizzazione è compatibile con il decreto. Se non lo è, si deve adeguare.

Finora, però, non è stato fatto nulla. Quanto pesa questo stallo sulla vita di un’impresa del riciclo?

Ci hanno, ad esempio, scritto dall’Inghilterra e dalla Germania dove hanno 20 mila tonnellate di pulper ricavato dal trattamento del tetrapak. Sono disposti a cedercelo pagando 100 euro a tonnellata che fanno 2 milioni di euro solo per il fatto di riceverlo. A parte questo caso specifico, se si sbrigassero a fare il decreto End of waste sul pulper, noi potremmo per la prima volta importare dei rifiuti dall’estero facendoci pagare.

 

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